L’Uomo dalla parola affascinante

Che cosa vuol dire «Nazareo»? Abitante di Nazaret, sembrerebbe a prima vista. Difatti la profezia è riferita dall’evangelista Matteo quando narra che Gesù, dopo la sua nascita a Betlemme, venne portato sulla collina di Nazaret, nel verde paesaggio di poggi tra i quali doveva fiorire la sua giovinezza.

D’altro parere è un profondo studioso, conoscitore come pochi delle lingue dell’antica Palestina, Eugenio Zolli, che fu già rabbino-capo degli Israeliti di Roma. In un poema ebraico del Medioevo egli aveva trovato una parola somigliante a Nazareo che significava il trillare, il cinguettare degli uccelli. Non poteva allora il titolo Nazareo significare l’uomo dalla bella voce, dal canto o dalla parola affascinante? In Gesù si avverava quello che era stato preannunciato dai profeti: «Egli sarà chiamato l’uomo dalla parola affascinante».

La parola di Gesù era una parola sovrumana. Tra i suoni, essa era il tuono. Tra i fuochi, essa era il fulmine. Uomini e folle, amici e nemici sentivano in lui il Nazareo, «l’uomo dalla parola affascinante». Non era, evidentemente, un fascino solo musicale. La parola di Gesù rivelava il mondo, la vita, gli uomini in una luce nuova. Pareva, a chi lo sentiva, di aprire gli occhi alla luce per la prima volta; come se fosse stato cieco fino allora e non avesse visto sotto le palpebre chiuse null’altro che un eterno buio.

Una luce come di mattina, pura e ferma, riempiva lo spazio. In quel chiarore le cose emergevano, limpide e concrete, piene di senso e di bontà. Ecco: nel cielo gli uccelli non seminano e non mietono; nella piazzetta del paese, i bambini giocano al funerale, suonano con tutta serietà gli zufoli, come fossero i flauti del lutto, e all’improvviso fischiettano un’aria allegra; non si gioca più al funerale ma alle nozze, si canta e si balla. Ecco la donnetta disperata perché nella stanza buia non trova più la monetina che le è scivolata di mano. Sulla gran strada laggiù, con un seguito di muli carichi d’ogni ben di Dio e di servi, s’allontana da casa il più giovane di due figli, abbandonando il vecchio padre; lassù, sul fianco della collina, il seminatore esce a seminare; sull’aia, al soffio del vento, la pula, gettata all’aria dalle pale, si disperde in lunghe strisce gialle, mentre il grano ricade in mucchi dorati…

Nulla di ciò che nella vita umana è grande, bello, puro, sfugge alla parola di Gesù. Un’immagine di familiare bellezza: «La donna, quando le nasce un bimbo, dimentica tutti i dolori, perché è venuto al mondo un uomo».

È questa storia di un chicco di grano: «Un uomo getta un seme in terra. E mentre egli dorme o si alza, di notte e di giorno, il seme germoglia e spunta non si sa come. Da sé la terra produce prima il gambo, poi la spiga, poi le glume colme di grano nella spiga. E quando il frutto è maturo l’uomo vi mette la falce poiché la messe è pronta».

La parola di Gesù è unica perché si nutriva di lunghi silenzi imbevuti di preghiera. Dopo aver raccontato un’affaccendatissima giornata, forse la prima che Gesù trascorse a Cafarnao, e dopo aver detto che al tramonto Gesù era stato assediato, nella casa di Pietro, dai malati della città che facevano ressa alla porta, l’evangelista Marco riferisce che «al mattino Gesù si levò molto per tempo, e uscito in un luogo solitario, pregava da solo». Prima di scegliere e chiamare a sé gli apostoli, Gesù «salì sul monte e passò la notte in preghiera». La folla, entusiasmata dalla capacità prodigiosa che egli aveva dimostrato nel saper a piacimento moltiplicare i pani, voleva proclamarlo re; Gesù si sottrae salendo verso la montagna. «E lassù, solo, rimase a pregare». V’è dunque una fonte di pace, di luce, di bontà a cui la parola di Gesù attinge. Per noi uomini, essa si chiama preghiera. Per Gesù era il silenzioso colloquio col suo Padre Celeste. Giovanni, il discepolo che Gesù amava, quello che nell’ultima cena posò il capo sul petto del divino Maestro (per la profondità con la quale seppe fissare la pupilla nel mistero di Gesù, il suo Vangelo venne chiamato il Vangelo spirituale), nel prologo del suo mirabile libro dice: «Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio unico che è nel seno del Padre, lui solo ce lo ha interpretato».

(tratto da “Il Vangelo di San Luca” di don Carlo De Ambrogio)

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