La parabola dell’Anfora

La parabola dell’Anfora
Nelle mani del vasaio, tremante e informe si trovava un pezzo di argilla.
Era stato portato da lontano. Meglio, era stato scelto tra altri pezzi.
All’inizio fece resistenza. Lo irritava lo sfregare delle mani del vasaio.
Si ribellò quando l’impastarono. Rimpiangeva il suo stare informe nel suo ambiente selvaggio.
Ma le mani del vasaio sapevano quello che facevano e tra pressioni e carezze diede all’argilla la duttilità necessaria per essere lavorata.
Imparò ad obbedire. La creta disse di sì e oggi e un’anfora.
Io sono un’anfora. Abitavo nel seno della terra. Convivevo con sassi, erbacce, spine e zizzania. Oggi sono quello che sono grazie al mio vasaio. Ti racconto la mia storia perché può somigliare alla tua.
Un giorno ascoltai i passi d’un uomo. Si avvicinava osservando il terreno. Sentii un brivido e cercai di nascondermi. I suoi occhi avevano un bagliore strano. Feci uno sforzo su me stessa e cercai di tranquillizzarmi e posso dire che riuscii a dissimulare la mia agitazione. Non servì a nulla. Quel personaggio mi guardò con amore, si chinò e mi strappò dal luogo e da ciò che conoscevo ed amavo. Mi raccolse e mi portò con Lui. Cominciai ad essere sua proprietà personale.
Io volevo gridare che mi lasciasse, che sentivo dolore ad uscire dalla mia terra,… che, al limite, avrei preferito essere trasportata da una ragazza… che io… La sua mano passò su di me e il silenzio e la pace mi riempirono di gioia.
Sai? Non è stato tanto facile diventare quello che sono adesso. Puoi immaginare quanto duro fu per me quando quel Signore, ormai a casa sua, cominciò a tirar fuori dal mio interno dei sassi, quando estrasse da me erbacce, sterpi e fango puzzolente. Quando cominciò a battermi, come diceva Lui, per togliere l’aria e la vacuità del mio interiore. Gridai, piansi, parecchie volte mi sgretolai dall’ira e dal desiderio di ribellione.
Fu così che un giorno non ne potei proprio più e gli dissi che me ne volevo andare… che tutto questo era insopportabile… che io ero libera… e non so quante cose ancora. Mentre io parlavo entrò nella stanza la Madre del mio vasaio e gli disse: Figlio, ti prego ho bisogno di un’anfora.
Io rimasi affascinata dalla musicalità della sua voce e quando il mio vasaio mi prese e cominciò a girarmi sul tornio, la piattaforma, gli ingranaggi, le sue mani che mi modellavano, tutto aveva la melodia della voce della Signora. Girai e rigirai accarezzato dalle sue abili mani. Girai e danzai tra le sue dita e fui formata e pensata con amore dal mio vasaio.
Ormai ero terminata. La brezza accarezzò il mio volto ancora umido e viscido e con il bacio dei venti mi predispose per la cottura. Io non sapevo che il mio vasaio cuoceva al caldo del suo Cuore i pezzi prediletti. Mi avvicinò, mi strinse e nel fuoco d’un abbraccio eterno, acquistai la mia resistenza e utilità.
Ero un’anfora bella come poche. Ero pronta. A quale uso sarei stata destinata? La paura mi prese e nella oscurità dei miei dubbi e timori vidi rotolare come fantasmi, mille possibilità e mille professioni. Tra tante cose attirò la mia attenzione una goccia d’acqua che riposava sul fondo del mio capiente vano. Quella goccia non era mia. Era venuta da fuori. La guardai attentamente e vidi che diventò luminosa e coronata da un arcobaleno di mille volti giovanili. La goccia mi sussurrò all’orecchio: Vuoi servire per portare acqua?….
Quasi risi della sua ingenuità. Io, un’anfora fatta con tanta cura e delicatezza solo per portare dell’acqua? Era schernirmi. La goccia non rispose nulla, ma di volta in volta tornava a ripetere la stessa domanda. La domanda ormai mi era familiare e quasi la desideravo.
Non mi sembrò strano quando un giorno, venne la Signora, mi scrutò per bene e mi preferì ad altre anfore. Mi sentii felice. Non sapevo dove mi stava portando né a che cosa sarei servita, ma con Lei era bello andare ovunque.
I suoi passi si indirizzarono verso la Fonte e mentre mi faceva scendere dalle sue spalle, si chinò verso l’acqua. Mi immerse in essa e mi riempì di quell’acqua. Un’acqua che mi inzuppava, che mi trasformava, che mi faceva sentire il desiderio imperioso di comunicare la mia acqua.
E la gocciolina di un giorno, si era convertita in uno zampillo che saliva fino all’eternità. Aveva ragione il mio Vasaio: è meglio dare che ricevere.
Uscii ripiena e felice. La mia Signora continuò la sua strada soltanto interrotta da gruppi di giovani assetati della mia acqua. Quei volti li avevo visti prima e adesso li vedevo trasformarsi. Li vedevo diventare figli di Dio. Quanto più acqua davo, tanto più sentivo la necessità di continuare a dare, senza misura, come si riversa l’amore di Dio.
Sono anfora e vengo da un po’ di argilla simile ad altre argille.
Sono anfora, come le altre anfore, però eletta.
Sono anfora del mio Vasaio e della mia Signora.
Sono un’anfora distributrice di Acqua viva.
Sono un’anfora portatrice dell’amore di Dio ai giovani.
Sono la tua anfora, Signore.

 

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